Categoria: ESOTERISMO
Cos’è l’Esoterismo
Cos’è l’Esoterismo
Prolusione: l’Etimo
Prima di poter spiegare diffusamente cos’è l’”Esoterismo”, cosa si cela dietro a tale controverso fenomeno, oppure a cosa sottende la Disciplina dell’Arcano, vorrei principiare con lo stabilire quale potrebbe essere l’origine etimologica del termine ed il conseguente significato metempirico.
Premetto col dire che gli studiosi spesso hanno dileggiato le etimologie caldeggiate dagli Esoteristi, senza comprenderle appieno o, addirittura ricusandole a priori senza il minimo intento di comprenderne il vero principio. A tale proposito molteplici sono i testi esoterici sulle «etimologie occulte», ed a titolo d’esempio ne cito alcuni:
-
- Nell’Ellade: Platone, con il Cratilo;
-
- Nell’Antica Roma: Varrone, De Lingua Latina (I secolo a.C.), la cui teoria dell’analogia linguistica rivela l’influenza Neo-Pitagorica;
-
- In India: Jaimini (?), Mimâmsâ-sûtra (Discorso sull’Investigazione);
-
- Nell’ebraismo: Sefer ha-Zohar (1280) (Libro dello Splendore) attribuito al rabbi Siméon bar Yohai;
Come sostiene rettamente, a suffragio di tale premessa, Pierre A. Riffard nella sua monumentale opera dal titolo L’Esoterismo: “I linguisti hanno intentato un processo falsificato agli Esoteristi in materia di etimologie. Ma in realtà, le «etimologie occulte» rimandano non a parentele lessicali, ma, ad analogie apparentate con la Metafisica. Ciò diventa evidente quando gli Esoteristi invece di ricorrere a una parola d’origine – un «ètymon» – citano varie parole simili. L’etimologia occulta suggerisce una matrice, consegna non un radicale, una radice o una forma antica ma l’idea stessa. Non rimanda lontano nel tempo ma in fondo nel senso. L’etimologia occulta di «etimologia» dunque sarà «ἔτυμος λογος», «linguaggio vero, discorso autentico, parola giusta». G. Postel parlava, in questo senso, di «emitologia», dall’ebraico emet (verità).”
E di seguito:
“Per gli Esoteristi la Natura è una realtà sonora, le parole, almeno alcune parole, hanno una verità sonora. In origine e fondamentalmente l’uomo può dare un valore imitativo ai suoni che produce… Si passa dalla grossolana imitazione al più sottile simbolismo. Ad esempio i Cabalisti pronunciano a questo scopo il suono «YHWH» che non imita – naturalmente – Dio ma ne articola l’essenza. Non bisogna poi dimenticare che per tutti i popoli insufflare significa animare e soffio significa ‘Spirito’”…
In conclusione:
”Considerati globalmente o suddivisi, i termini «esoterismo» o «esoterico» sono tipicamente Greci. Assunta come un tutto, la parola «esoterismo» è un termine dotto, creato da persone dotte.
Il termine “Esoterismo”, in relazione alle varie epoche e Tradizioni è stato interpretato in vari modi, ma può essere suddiviso principalmente in tre componenti principali:
– L’Avverbio εισω che ha il significato di: «all’interno», «di dentro», «in» (Omero, Iliade, III, v. 322);
– Un Suffisso τερ che rimarca l’antagonismo fra due termini (come nel Latino alter o il Francese «interner» o l’italiano «altro», «alterità»);
– Un Suffisso Derivazionale-ισμος che serve a creare il sostantivo.
Da questa etimologia sono scaturiti una serie di preconcetti o frasi preconfezionate che ci hanno allontanato dall’essenza più riposta del significato “Esoterismo”. Ossia:
– Esô significante «dentro»: ne consegue che l’”Esoterismo” è la scienza e la conoscenza dell’«interno», dell’intimo, delle idee nascoste, delle qualità occulte, delle conoscenze segrete e dei processi endogeni e più riposti;
– ter sta ad indicare un’antitesi: l’”Esoterismo” è una scienza, o una pseudo conoscenza, che rigetta i creduloni nel gorgo dell’insipienza e della superstizione;
– I termini che finiscono in «ismo» indicano dottrine o professioni di fede; pertanto l’”Esoterismo” è una teoria o un atto fideistico indimostrato ed indimostrabile.
Di tali reiterate amenità positiviste sono zeppi dizionari ed enciclopedie e anche alcuni Esoteristi si rifanno più ad un etimo stucchevole che ricorda delle sedicenti “parentele lessicali”, ma non delle “analogie apparentate con la Metafisica”.
Di siffatte inesattezze e distorsioni fallaci del significato più autentico del termine s’è ne fatto un uso ordinario, reiterato, e suddette definizioni sono entrate a far parte anche di celebri studiosi come Renè Guènon, arcinoto per il suo piglio cattedratico e dogmatico, che in Considerazioni sulla Via Iniziatica, asserisce: «Tale esoterismo… è inoltre evidenziato dal fatto che si tratta, per definizione stessa, di un ordine di conoscenza riservata a un’élite, …».
Se possiamo essere d’accordo sulla pratica dell’Iniziazione, impartita da una Linea di Successione Iniziatica Umana od Extra-Umana (“Paraṃparā”, “Silsilah”, ecc.), ove è imprescindibile pervenire ad un livello di Coscienza tale da essere un “eletto”, dissentiamo sulla definizione che tende ad asserire il carattere di esclusività dell’”Esoterismo” stesso. L’”Esoterismo” non è connaturato all’unicità, è connaturato allo Spirito Trascendente. Scintilla Metafisica connaturale a ogni creatura e al creato.
Non da meno la definizione fuorviante che enuncia Helena Petrovna Blavatsky nel suo Glossario Teosofico ove sosteneva: «Esoterico (greco). Nascosto, segreto. Dal greco esotericôs, “interno, dissimulato”».
Se teniamo in buon conto il parere di A. Faivre il termine «“Esoterismo” è un’occultista, Eliphas Lévi, a inventarlo. […] Il senso più ristretto del termine “esoterismo” si fonda sull’etimologia greca: esothodos, metodo – o cammino – verso l’interno (eisôtheô faccio entrare). Si tratterebbe di un'”entrata in se stessi” e perciò qualche volta è detto “interiorismo”».
Il termine “Esoterismo” invece deriva etimologicamente da esô – e ter, mentre eisotheô significa «io spingo dentro».
Effettuando un cammino a ritroso per poter pervenire all’origine dell’etimo dovremmo risalire all’indoeuropeo: «Ei, i, idea di andare. Sanscrito éti, “egli va“. Greco ei-mi, “io vado“».
Risalendo ai testi greci anteriori troviamo la ricorrenza: lo ionico ἕσω nei poeti arcaici che scrivono in attico; εἵσω in Omero e a partire dal 347 in lingua attica; ἐνς in cretese e in argivo, avverbio o preposizione che significa «dentro, all’interno».
Negli scritti di Platone si legge τἀ ἔξω, ta exô, le cose esteriori (in antitesi a quelle interiori dell’alma), (Alcibiade, I, 117 c; Teeteto, 198 c); τἀ εἴσω oppure τά ἐσω mostrano gli argomenti arcani, profondi, trascendenti e filosofici.
Approfondimento: Il Senso
Nell’”Esoterismo”, come vedremo, non c’è antitesi, anomia, fra la realtà esteriore e mondo interiore o Vissuto e Stato di Coscienza, ma armonica Contrapposizione degli Opposti che conduce alla complementarità, alla Consapevolezza Metafisica presupposto per l’Integrazione col Principio Primordiale.
I Testi Tradizionali ci vengono in soccorso, difatti un logion del Cristo presente nel Vangelo Esoterico di Tommaso, cita:
«Quando farete di due uno e renderete l’interno come l’esterno e ciò che è in alto come ciò che è in basso, e del maschio e della femmina cosa sola […] allora entrerete nel Regno».
La Pistis Sophia, trattato gnostico di Valentino, reca:
«A partire da ora non vi nasconderò niente delle cose dell’Alto e di quelle del luogo della Verità, perché potere mi è stato dato dall’Ineffabile e primo Mistero di tutti i misteri di parlarvi dall’inizio fino al compimento, dall’interno all’esterno e dall’esterno all’interno».
La Tabula Smaragdina di Hermes Trismegistus suffraga le citazioni precedenti:
«È vero senza menzogna, certo e verissimo, che ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare il miracolo della cosa unica. E poiché tutte le cose sono e provengono da una sola, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento. Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre, il Vento l’ha portata nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il fine di tutto il mondo è qui. La sua forza o potenza è intera se essa è convertita in terra. Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso dolcemente e con grande ingegno. Sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori. Con questo mezzo avrai la gloria di tutto il mondo e per mezzo di ciò l’oscurità fuggirà da te. Questa è la forte fortezza di ogni forza: perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida. Così è stato creato il mondo. Da ciò deriveranno meravigliosi adattamenti, il cui metodo è qui. È perciò che sono stato chiamato Ermete Trismegisto, avendo le tre parti della filosofia di tutto il mondo. Completo è quello che ho detto dell’operazione del Sole».
Lo Pseudo-Democrito parlando dell’essenza intima di tutte le cose, verga: «La natura si nasconde all’interno» intendendo per «natura» la Materia Primordiale, lo Stato Primevo, la Sostanza Indifferenziata. Quello che si cela ai nostri occhi ma che sostanzia e tiene in essere l’Universo: La Materia e l’Energia Oscura.
L’escatologia: Restaurare lo Stato Primordiale
l’”Esoterismo” trova la sua più congrua espressione traverso la Simbologia, l’Analogia che presuppone l’Anagogia, come se la Natura celasse se stessa ai profani per disvelare i propri arcani agli Iniziati, agli Eletti. Ma in realtà la Natura non si cela, bensì, non si rivela. Simultaneamente, non discrimina e non svilisce se stessa.
Nei Culti Misterici venivano celebrate sia Feste esteriori che le Iniziazioni interne e segrete riservate ad una ristretta cerchia di accoliti, votati al Silenzio Iniziatico; non v’era antitesi fra mondo “Essoterico” ed “Esoterico”, ma complementarità.
A questo punto sarebbe in caso di chiedersi quale potrebbe essere lo scopo di tale recondita e manifesta concordia, che risuona invitta in ogni frammento del Kosmos. E come la Disciplina dell’Arcano potrebbe essere il viatico per perseguire l’agognata Integrazione col Principio Primordiale.
I Testi Tradizionali che narrano della Teogonia e della Cosmogonia possono districare queste perplessità. Difatti, il Quarto brāhmaṇa della Prima Lettura della Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad tratta dell’Origine e della frammentazione che condusse alla Molteplicità degli Esseri e delle Forme create. La versione citata è a cura dell’orientalista e poliglotta Pio Filippani-Ronconi, il testo di riferimento è le Upanishad antiche e medie:
«1. All’origine esisteva solo lo ātman, sotto la forma di Puruṣa [Uomo cosmico primordiale]. Guardandosi attorno egli non vide altro che se stesso. In primo luogo pronunciò le parole: “lo sono questi” [so’ham]. Donde venne ad essere il nome di “io” [aham]. Da questo deriva che, anche oggi, se si chiama qualcuno, costui risponde in primo luogo: “sono io”. Indi dichiara un altro nome, che è il suo. Dato che egli, anteriore ad ogni cosa [pūrva], ha arso [uṣ] tutti i mali, per questo motivo egli è Puruṣa. In verità, colui il quale così conosce arde chiunque desideri porsi prima di lui.
2. Egli ebbe paura: perché colui che è solo ha paura. Indi considerò: “Di che cosa debbo io avere paura, se nulla esiste fuori di me?” Allora la sua paura svanì. Di che cosa infatti avrebbe dovuto avere paura? Si ha paura di un altro.
3. Egli non aveva piacere; perché il piacere non appartiene a chi sta solo. Desiderò quindi un secondo. <Fino ad allora> la sua estensione era tale quanto un uomo ed una donna abbracciati. Li divise in due esseri: questi furono lo sposo e la sposa. Tale è la ragione per la quale Yājñavalkya ha detto: “Noi due siamo <ognuno per sé> una metà.” Per questo motivo lo spazio <lasciato vuoto> viene riempito dalla donna. Con essa si congiunse: da ciò nacquero gli uomini».
La Natura Naturans (Natura Naturante) di Spinoza diviene a sua volta Natura Naturata. Medesima versione la rinveniamo nel Simposio di Platone, ove il commediografo Aristofane narra un mito su Eros che enuclea la ragione che conduce l’uomo, dopo aver perduto la l’ancestrale completezza, ad errare e patire prolungate angustie:
«Un tempo – egli dice – gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione».
Ma per fugare ogni perplessità riportiamo un estratto più corposo ed esteso dello stessa opera:
«Mi sembra che gli uomini non si rendano assolutamente conto della potenza dell’Eros. Se se ne rendessero conto, certamente avrebbero elevato templi e altari a questo dio, e dei più magnifici, e gli offrirebbero i più splendidi sacrifici. Non sarebbe affatto come è oggi, quando nessuno di questi omaggi gli viene reso. E invece niente sarebbe più importante, perché è il dio più amico degli uomini: viene in loro soccorso, porta rimedio ai mali la cui guarigione è forse per gli uomini la più grande felicità. Dunque cercherò di mostrarvi la sua potenza, e voi fate altrettanto con gli altri. Ma innanzitutto bisogna che conosciate la natura della specie umana e quali prove essa ha dovuto attraversare.
Nei tempi andati, infatti, la nostra natura non era quella che è oggi, ma molto differente. Allora c’erano tra gli uomini tre generi, e non due come adesso, il maschio e la femmina. Ne esisteva un terzo, che aveva entrambi i caratteri degli altri. Il nome si è conservato sino a noi, ma il genere, quello è scomparso.
Era l’ermafrodito, un essere che per la forma e il nome aveva caratteristiche sia del maschio che della femmina. Oggi non ci sono più persone di questo genere. Quanto al nome, ha tra noi un significato poco onorevole. Questi ermafroditi erano molto compatti a vedersi, e il dorso e i fianchi formavano un insieme molto arrotondato. Avevano quattro mani, quattro gambe, due volti su un collo perfettamente rotondo, ai due lati dell’unica testa. Avevano quattro orecchie, due organi per la generazione, e il resto come potete immaginare.
Si muovevano camminando in posizione eretta, come noi, nel senso che volevano. E quando si mettevano a correre, facevano un po’ come gli acrobati che gettano in aria le gambe e fan le capriole: avendo otto arti su cui far leva, avanzavano rapidamente facendo la ruota. La ragione per cui c’erano tre generi è questa, che il maschio aveva la sua origine dal Sole, la femmina dalla Terra e il genere che aveva i caratteri d’entrambi dalla Luna, visto che la Luna ha i caratteri sia del Sole che della Terra.
La loro forma e il loro modo di muoversi era circolare, proprio perché somigliavano ai loro genitori. Per questo finivano con l’essere terribilmente forti e vigorosi e il loro orgoglio era immenso. Così attaccarono gli dèi e quel che narra Omero di Efialte e di Oto, riguarda gli uomini di quei tempi: tentarono di dar la scalata al cielo, per combattere gli dèi. Allora Zeus e gli altri dèi si domandarono quale partito prendere. Erano infatti in grave imbarazzo: non potevano certo ucciderli tutti e distruggerne la specie con i fulmini come avevano fatto con i Giganti, perché questo avrebbe significato perdere completamente gli onori e le offerte che venivano loro dagli uomini; ma neppure potevano tollerare oltre la loro arroganza.
Dopo aver laboriosamente riflettuto, Zeus ebbe un’idea. “lo credo – disse – che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso – disse – io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande.
Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri.” Detto questo, si mise a tagliare gli uomini in due, come si tagliano le sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo. Quando ne aveva tagliato uno, chiedeva ad Apollo di voltargli il viso e la metà del collo dalla parte del taglio, in modo che gli uomini, avendo sempre sotto gli occhi la ferita che avevano dovuto subire, fossero più tranquilli, e gli chiedeva anche di guarire il resto.
Apollo voltava allora il viso e, raccogliendo d’ogni parte la pelle verso quello che oggi chiamiamo ventre, come si fa con i cordoni delle borse, faceva un nodo al centro del ventre non lasciando che un’apertura – quella che adesso chiamiamo ombelico. Quanto alle pieghe che si formavano, il dio modellava con esattezza il petto con uno strumento simile a quello che usano i sellai per spianare le grinze del cuoio.
Lasciava però qualche piega, soprattutto nella regione del ventre e dell’ombelico, come ricordo della punizione subìta. Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti desiderava ricongiungersi all’altra. Si abbracciavano, si stringevano l’un l’altra, desiderando null’altro che di formare un solo essere. E così morivano di fame e d’inazione, perché ciascuna parte non voleva far nulla senza l’altra. E quando una delle due metà moriva, e l’altra sopravviveva, quest’ultima ne cercava un’altra e le si stringeva addosso – sia che incontrasse l’altra metà di genere femminile, cioè quella che noi oggi chiamiamo una donna, sia che ne incontrasse una di genere maschile.
E così la specie si stava estinguendo. Ma Zeus, mosso da pietà, ricorse a un nuovo espediente. Spostò sul davanti gli organi della generazione. Fino ad allora infatti gli uomini li avevano sulla parte esterna, e generavano e si riproducevano non unendosi tra loro, ma con la terra, come le cicale. Zeus trasportò dunque questi organi nel posto in cui noi li vediamo, sul davanti, e fece in modo che gli uomini potessero generare accoppiandosi tra loro, l’uomo con la donna.
Il suo scopo era il seguente: nel formare la coppia, se un uomo avesse incontrato una donna, essi avrebbero avuto un bambino e la specie si sarebbe così riprodotta; ma se un maschio avesse incontrato un maschio, essi avrebbero raggiunto presto la sazietà nel loro rapporto, si sarebbero calmati e sarebbero tornati alle loro occupazioni, provvedendo così ai bisogni della loro esistenza.
E così evidentemente sin da quei tempi lontani in noi uomini è innato il desiderio d’amore gli uni per gli altri, per riformare l’unità della nostra antica natura, facendo di due esseri uno solo: così potrà guarire la natura dell’uomo. Dunque ciascuno di noi è una frazione dell’essere umano completo originario. Per ciascuna persona ne esiste dunque un’altra che le è complementare, perché quell’unico essere è stato tagliato in due, come le sogliole. E’ per questo che ciascuno è alla ricerca continua della sua parte complementare.
Stando così le cose, tutti quei maschi che derivano da quel composto dei sessi che abbiamo chiamato ermafrodito si innamorano delle donne, e tra loro ci sono la maggior parte degli adulteri; nello stesso modo, le donne che si innamorano dei maschi e le adultere provengono da questa specie; ma le donne che derivano dall’essere completo di sesso femminile, ebbene queste non si interessano affatto dei maschi: la loro inclinazione le porta piuttosto verso le altre donne ed è da questa specie che derivano le donne dagli amori saffici.
I maschi, infine, che provengono da un uomo di sesso soltanto maschile cercano i maschi. Sin da giovani, poiché sono una frazione del maschio primitivo, si innamorano degli uomini e prendono piacere a stare con loro, tra le loro braccia… Queste persone – ma lo stesso, per la verità, possiamo dire di chiunque – quando incontrano l’altra metà di se stesse da cui sono state separate, allora sono prese da una straordinaria emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall’affinità con l’altra persona, se ne innamorano e non sanno più vivere senza di lei – per così dire – nemmeno un istante…
Se, mentre sono insieme, Efesto si presentasse davanti a loro con i suoi strumenti di lavoro e chiedesse: “Che cosa volete l’uno dalI’altro?”, e se, vedendoli in imbarazzo, domandasse ancora: “Il vostro desiderio non è forse di essere una sola persona, tanto quanto è possibile, in modo da non essere costretti a separarvi né di giorno né di notte? Se questo è il vostro desiderio, io posso ben unirvi e fondervi in un solo essere, in modo che da due non siate che uno solo e viviate entrambi come una persona sola.
Anche dopo la vostra morte, laggiù nell’Ade, voi non sarete più due, ma uno, e la morte sarà comune. Ecco: è questo che desiderate? è questo che può rendervi felici?” A queste parole nessuno di loro – noi lo sappiamo – dirà di no e nessuno mostrerà di volere qualcos’altro. Ciascuno pensa semplicemente che il dio ha espresso ciò che da lungo tempo senza dubbio desiderava: riunirsi e fondersi con l’altra anima.
Non più due, ma un’anima sola. La ragione è questa, che la nostra natura originaria è come l’ho descritta. Noi formiamo un tutto: il desiderio di questo tutto e la sua ricerca ha il nome di Eros. Allora, come ho detto, eravamo una persona sola; ma adesso, per la nostra colpa, il dio ci ha separati in due persone, come gli Arcadi lo sono stati dagli Spartani…
…dichiaro che la nostra specie può essere felice se segue Eros sino al suo fine, così che ciascuno incontri l’anima sua metà, recuperando l’integrale natura di un tempo. Se questo stato è il più perfetto, allora per forza nella situazione in cui ci troviamo oggi la cosa migliore è tentare di avvicinarci il più possibile alla perfezione: incontrare l’anima a noi più affine, e innamorarcene.
Se dunque vogliamo elogiare con un inno il dio che ci può far felici, è ad Eros che dobbiamo elevare il nostro canto: ad Eros, che nella nostra infelicità attuale ci viene in aiuto facendoci innamorare della persona che ci è più affine; ad Eros, che per l’avvenire può aprirci alle più grandi speranze. Sarà lui che, se seguiremo gli dèi, ci riporterà alla nostra natura d’un tempo: egli promette di guarire la nostra ferita, di darci gioia e felicità…»
Riconquistare «la nostra natura d’un tempo» è l’intento precipuo onde pervenire allo stato arcaico perduto. Il Terzo Brāhmaṇa della Quarta Lettura della Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad è a tale proposito intellegibile ed a tratti sublime:
«1. Accadde una volta che Yājñavalkya venne da Janaka di Videha con l’intenzione di non parlare. Ma, quando Janaka di Videha e Yājñavalkya ebbero conversato a riguardo dello Agni-hotra [l’ablazione rituale al fuoco], Yājñavalkya promise di soddisfare un desiderio del re: il re scelse il diritto di interrogarlo a suo piacere, e Yājñavalkya acconsentì. Allora il re prese la parola per primo al fine di interrogarlo:
2. “O Yājñavalkya, qual lume rischiara questo Puruṣa [ = l’essere incarnato]?” “La luce del sole, o re”, gli disse: “alla luce del sole, in vero, costui dimora, si muove, compie le sue azioni e ritorna a casa.” “È proprio così, o Yājñavalkya.”
3. “Allorché il sole è tramontato, o Yājñavalkya, qual è la luce che illumina questo puruṣa?” “Per costui vi è la luce lunare; alla luce della luna egli dimora, si muove, compie le sue azioni, torna a casa.” “È proprio cosi, o Yājñavalkya.”
4. “Allorché è tramontato il sole ed è tramontata la luna, o Yājñavalkya, quale luce illumina questo essere?” “È la luce del fuoco che lo illumina; è alla luce del fuoco che egli risiede, si muove, compie le sue azioni e ritorna a casa.” “È proprio cosi, o Yājñavalkya.”
5. “Allorché il sole è tramontato, la luna è tramontata, il fuoco è spento, o Yājñavalkya, quale luce illumina questo personaggio?” “È la Parola [vac] che lo illumina: è essendo illuminato dalla Parola che egli dimora, si muove, compie le sue azioni e torna a casa; questa è la ragione per la quale, o re, quando l’ombra è cosi fitta che non si distingue neppure la propria mano, se si ode una parola ci si dirige verso questa.” “È proprio cosi, o Yājñavalkya.”
6. “Allorché il sole è tramontato, o Yājñavalkya, la luna è pure tramontata, il fuoco è spento, ogni parola tace, quale luce illumina questo personaggio?” “È lo ātman [il Sé] che è la sua luce. È alla luce dello ātman che egli dimora, si muove, compie le sue azioni e torna a casa.”
7. “Che cosa è lo ātman?” “Lo ātman è quell’essere [puruṣa] fatto di coscienza nelle percezioni [vijñāna-mayah prāneṣu] e che è l’intima luce del cuore. Sempre uguale a se medesimo, egli percorre entrambi i mondi. Sembra che egli pensi, che egli si agiti; allorché dorme trascende questo mondo, dopo la morte trascende le forme.”
8. “Questo essere, invero, una volta che è nato, penetrando nel corpo si carica di mali; allorché ne esce, per il fatto che muore, abbandona i mali.”
9. ”In verità di questo essere vi sono due sedi: questo e l’altro mondo; una terza condizione intermedia è la condizione di sonno. In questa <terza> condizione intermedia risiedendo, egli contempla entrambe le altre sedi: quella di questo mondo e quella di quell’altro. Allorché esso ha compiuto lo sforzo <mediante l’ascesi> di sollevarsi all’altro mondo, per il fatto che ha compiuto questa opera, egli può contemplare entrambi <i mondi>; i mali <di questo mondo> e le beatitudini <dell’altro mondo>. Allorché egli si è addormentato, per il fatto che si è impossessato di elementi tratti da tutto questo mondo, costruisce e disgrega a suo piacimento, permanendo nella propria luce, nel proprio fulgore; questo essere è allora <materiato> di propria luce.
10. “In quella condizione non esistono né carri né cavalli <che tirano i carri> e neppure vie, ma è egli che crea i carri e i cavalli e le vie. In quella condizione non esistono né laghi né stagni né fiumi, ma è egli che crea i laghi, gli stagni, i fiumi. Egli invero è il Fattore <di tutto ciò che esiste>.”
11. “A tale riguardo esistono i seguenti śloka:
‘Svincolandosi col sonno da questo corpo contempla insonne gli addormentati <organi>;
riprendendo lo śukra¹ ritorna alla sua sede, Egli, l’aureo Puruṣa, l’unico Haṃsa².
12. Custodendo col soffio in basso il nido fuor dal nido immortale si slancia. Egli va, immortale, dove vuole, aureo Puruṣa, unico Haṃsa.
13. Volando nel sogno ora in alto ora in basso assume, come Dio, forme diverse; ora con donne si rallegra ridendo, or contempla terrifiche visioni.
14. Ove Egli riposa tutti vedono; nessuno, invero, Lui può vedere’”.
Dicono, infatti, che non si debba risvegliare improvvisamente una persona; è difficile da risanare colui nel quale lo Spirito non sappia rientrare. Altri dicono; invero, che la sua sede <nel sogno> sia la stessa che nello stato di veglia: che egli veda, cioè, allorché è addormentato, le stesse cose che vede quando è sveglio. Ciò è perché il Puruṣa [lo Spirito] è, rispetto a sé, la propria luce.”…
15. “Questo stesso <Puruṣa>, dopo che ha goduto ed ha circolato in tale condizione di calma profonda [cioè nel sonno senza sogni, suṣupti], e dopo che ha visto il bene ed il male, di nuovo ritorna in senso contrario verso il suo punto di partenza, al sogno. Di tutto ciò che egli ha visto, durante la sua permanenza nel sonno profondo, nulla più lo segue; il Puruṣa è in effetti senza attaccamento.” …
16. “Questo stesso Puruṣa, dopo che ha goduto ed ha circolato, nello stato di sogno, ha visto il bene ed il male, ritorna in senso inverso al suo punto di partenza, allo stato di veglia; di tutto ciò che ha visto durante la sua corsa nulla lo segue, perché questo Puruṣa -è senza attaccamento.”…
17. “Questo stesso Purusa, dopo aver goduto ed aver circolato, nello stato di veglia, ed aver visto il bene ed il male, ritorna in senso inverso al suo punto di partenza, allo stato di sogno”.
18. “Come un grande pesce va da una riva all’altra, cosi il Puruṣa passa dall’una all’altra di queste due condizioni, del sonno e della veglia.
19. “Come un falco o un’aquila nell‘aereo spazio, affaticati per aver volato in tutti i sensi, ripiegano le loro ali e discendono verso il loro nido, egualmente questo Puruṣa si affretta verso lo stato ove, addormentato, non concepisce piu alcun desiderio, né vede alcun sogno“.
20. “… Allorché l’uomo <nel sogno> crede di venir ucciso, di venir sopraffatto, di venir inseguito da un elefante, di cadere in un pozzo, egli ignorantemente si rappresenta quel pericolo che correrebbe allo stato di veglia; allorché, però, credendosi un Dio o credendosi un re si immagina: ‘Io sono questo universo, io sono tutto ciò che esiste’, questo è per lui il mondo supremo”.
21. “Questa condizione è per lui la condizione superiore ad ogni desiderio, scevra di ogni male, libera da ogni terrore. Come un uomo tra le braccia della donna amata non è più cosciente né del mondo interiore né di quello esteriore, egualmente questo Puruṣa, abbracciato dallo ātman spirituale [prājñena ātmanā saṃpariṣvakto], non sa più nulla né del mondo esteriore né di quello interiore. Per lui questa è la condizione benedetta ove ogni desiderio è colmato, ove null’altro desiderio esiste fuor di quello di se stesso [ātman], o ve sono finite brame ed angustie.
22. In tale stato <incondizionato, assoluto,> il padre non è più padre, la madre non è più madre, i mondi non sono più mondi, gli Dei non sono più Dei, i Veda non sono più Veda. Ivi il ladro non è più ladro, l’abortitore non è più abortitore, il cāṇḍāla [fuori casta] non è più cāṇḍāla, il paulkasa [uomo di bassa casta] non è più paulkasa, lo ṣramaṇa [monaco errante] non è più ṣramaṇa, l’asceta non è più asceta; avendo superato il bene, avendo superato il male, egli è di là da tutti i tormenti del cuore.»
Tale è in buona sostanza l’essenza e lo scopo dell’”Esoterismo“. Il Percorso Interiore a Ritroso che ognuno di noi è tenuto a calcare per riconquistare il “Sè” stesso, medesimo. Ora Manifesto e Molteplice, fonte di brama e turbamento, ma pria Unico, Incondizionato ed Indifferenziato. Arcano, sostanziato d’immota quiete e infinità.